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Saharawi: un popolo fragile ma indomito PDF Stampa E-mail
Scritto da Luca Bertinotti   

Nel Gennaio 2007 dopo innumerevoli ripensamenti, date le difficoltà che un viaggio del genere avrebbe comportato, sono partito per una visita dei territori Saharawi (Algeria sud-occidentale).



E' difficile esprimere le sensazioni che suscita un viaggio del genere. Il primo giorno passa rapido: il corpo è spossato dalle ore di viaggio, dall'estenuanti attese aeroportuali. Si rimane come storditi alla vista di questo mondo senza elettricità, gas né acqua corrente.


Una visione sulla tendopoli di Auserd


Il secondo giorno la mente realizza le sensazioni che il corpo trasmette, sensazioni mai conosciute prima. Le mani si seccano sia per il clima asciutto, sia perché non ci si può permettere il lusso di lavarle più di una volta al giorno. Il terzo giorno è forse il peggiore: insorge un senso di disperazione. Poi, pian piano, la ragione torna a prevalere sulle emozioni e a quel punto si ha l'impressione di vivere in un mondo fittizio, ma al contempo fuoriuscito dalla macchina del tempo… Tutto è strano.
E' strano pensare che da quelle parti le poche piogge che cadono possono trasformarsi in un diluvio universale in grado di atterrare le precarie costruzioni fatte di mattoni di sabbia (è successo davvero nel Febbraio 2006).
E' strano quanto risulti buono anche al palato fine di un europeo il sapore del 'pane del deserto', che le massaie saharawi ogni giorno cuociono sotto la sabbia, con un metodo che affonda le radici nei primordi dell'umanità. E tanto basta per rendere piacevole anche lo sfrigolio fra i denti dei granelli di sabbia…
E' strano anche, e bello al contempo, come le donne riescano a ritagliare uno spazio alla loro connaturata sensualità anche in una realtà disperante come quella, esprimendola secondo le modalità a queste genti usuali. In tal senso vanno interpretati i bei disegni floreali tatuati sulle mani con l'henné a questa giovane saharawi in cerca di marito.


Motivi floreali disegnati con l'henné


E' strana la ribellione attuata dai Saharawi contro il Marocco, lo stato invasore: pochissimi atti di forza, e tanta opera diplomatica. Chi comanda sa bene che questa è forse l'unica via per evitare il genocidio di questo popolo fragile.
E se vero è che la coscienza di nazione è ipertrofizzata finanche nei bambini, a cui s'insegnano quasi soltanto canzoni militari che magnificano l'unità dei Saharawi, d'altra parte non gli vengono inculcati concetti di lotta armata, ma di pace e di libertà.
Inoltre i figli dei Saharawi viaggiano molto grazie all'appoggio di parenti emigrati o alle numerose associazioni umanitarie. Ma in vero non so se il conoscere la realtà di paesi agiati, forse un atto per rendere ancor più consapevoli della loro condizione di popolo esiliato, sia davvero un bene per quei bambini che alla fine tornano nelle ristrettezze dei campi profughi…
Al contempo, è strano quanto poco consapevoli siano i Saharawi che non hanno mai lasciato il deserto del mondo 'altro'. Spesso capita che per strada qualcuno ti fermi chiedendo notizie di un suo amico che lavora in Italia. Difficile è spiegargli che nelle nostre sovraffollate città sia tanto difficile poterlo avere mai incontrato.
Ma ancora più strano e insieme inquietante è che ovunque si guardi appaiono volti sempre sorridenti come di gente ben avvezza a vivere in quell'abbandono, gente nomade un tempo non molto lontano, che si è abituata prontamente per propria indole a questo esilio. E soprattutto i bambini sembrano essere perennemente gioiosi e sereni.


Scolari festosi durante la ricreazione


Tutto è stato calibrato sui ritmi e i modi di una vita da profughi. I vestiti dei bimbi, ad esempio, provengono con i pacchi donati dai paesi amici. Il 'menù del giorno' è fatto con espedienti e valorizzazioni approssimative di cibi in scatola. La spazzatura stessa è riciclata in un ciclo continuo fino all'esaurimento funzionale o alla consunzione naturale.
Il giorno passa molto lentamente fra l'interminabile rito del thé mille volte reiterato, feste nuziali, visite a parenti e amici, talvolta gite alle dune (dove si va con i bambini come da noi al mare),


Bambini in gita alle dune


cieli stellati descrivibili solo a stento, tempeste di sabbia, e un senso di abbandono che appare ad ogni ora sempre più forzato e che lascia il passo ad una noia esistenziale che attanaglia fino alle viscere.
A dire il vero, però, questo 'dolce far nulla' è proprio degli uomini. La donna saharawi ha invece un ruolo che difficilmente si può riscontrare in altre società del Mondo Arabo.
Vorrei perciò dedicare la conclusione del mio racconto proprio ad una donna, un'anziana saharawi. Era il mio ultimo giorno di permanenza nella tendopoli. Questa anziana signora dall'età indefinibile, seduta davanti alla sua tenda mi osservava mentre scattavo qualche ritratto alle sue capre, a quel po' che era il suo mondo. Dal suo viso non trapelava espressione alcuna. Ad un tratto mi chiamò con un gesto deciso del bastone con cui governava le sue bestie. Il traduttore che era con me ci mise in contatto. L'anziana chiese chi ero e cosa stessi esattamente facendo. Poi mi raccontò di lei, della sua vita attuale e delle epoche passate, ormai perse nel pozzo della sua memoria, quando il suo popolo viveva libero senza dover contare sugli aiuti umanitari. Ammaliato dal suo sguardo, un misto di antica sapienza e accettazione rassegnata della propria condizione, alla fine del suo discorso, le chiesi se potevo farle una fotografia. Lei, dopo un attimo di compassata riflessione, accettò. Scattai, la ringraziai, le donai dei biscotti, e rispettosamente mi congedai.


Anziana Saharawi

 

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