Mentre aspettavo di salire sul grosso e vecchio ferry che mi
avrebbe portato ad Iquitos, osservavo il cielo scuro e plumbeo di Yorimaguas,
sorridente cittadina amazzonica. Eravamo sulla sponda destra del rio huallaga,
nello stato peruviano di Loreto completamente immerso nella foresta amazzonica;
il ferry aveva già caricato quei strani bovini tropicali con la gobba ed io
avevo comprato cibo, acqua e un'amaca per dormire.
Legando l'amaca nel salone mi girai e vidi sulla destra le magnifiche gambe di
Alejandra, una bellissima infermiera volontaria di Siviglia, già distesa nella
sua amaca, mentre a sinistra si sistemò Vanita, una dolce "chica" di Iquitos col
suo nipotino. Quando la "lancia", in leggero ritardo, iniziò la navigazione
nelle scure acque del rio huallaga, mi accorsi che non c'erano zanzare; mi
spiegarono che la ventilazione creata dal moto del ferry le infastidiva.
Malgrado la presenza della dolce Vanita e della superba Alejandra, mi apparve
una cosa negativa, dal momento che quasi tutti gli "indigeni" viaggiavano con
delle scatole di cartone che facevano tanto chiasso:c'erano dentro tutti galli
da combattimento! Disteso sull'amaca vicino alla finestra, cominciai a guardare
fuori il verde della foresta e le altissime "lupunas", i pappagalli e gli
uccelli in volo, le rare capanne lungo le sponde, il cielo grigio di nubi e
l'acqua torbida del fiume.
Ogni due o tre ore il ferry si fermava, salendo o scaricando qualcuno o
qualcosa; patate, cesti di banane, indios o animali. Nella notte alla luce delle
torce, l'unico segno di civiltà erano gli stivali dei "nativi" e l'unico rumore
il motore del ferry. Il fiume si allargò e capii che stavamo entrando nel rio
maranon, il fiume dei piranas; da qui nel 1542 era disceso Francisco de Orellana,
luogotenente dei conquistadores Pizzarro e Almagro, che poi aveva per primo
navigato tutto il corso del'amazzonas, fino alla foce. Vedendo delle donne
guerriere sulle sponde, l'esploratore spagnolo, aveva chiamato il rio come le
antiche amazzoni.
Vanita mi parlò di Iquitos e dei gesuiti che la fondarono, della grande epopea
del caucciù che la rese, con Manaus, capitale mondiale della gomma. Alejandra,
bella, attraente e con i capelli "rasta", mi disse che sarebbe andata a vedere i
"nativi" sul rio Nanay, uno dei tanti affluenti di destra del grande rio. Il
pasto del ferry era immangiabile ed i bagni schifosi, poi il fiume sembrò
diventare un lago ed allora eravamo nel rio Ucayali, dentro il braccio primario
dell'amazzonas, perciò non mancava che poco ad Iquitos, solo la notte. L'amaca
mi aveva indolenzito ed i galli innervosito, quando alle prime luci, nella
foschia caligginosa apparve l'imbarcadero della città di Iquitos, già avvolta
nel gran calore e nella sua inesorabile miseria. Non erano ancora le otto che mi
ero sistemato a 50 metri dalla "plaza", in un bellissimo hostal "la casona", per
soli 10 euro a notte.
Di fronte all'Eldorado, l'unico 5 stelle della città a 60euro, chiamai un
giovane lustrascarpe per farlo felice, che mi passò un foglio locale l'iquitos
time. C'era il disegno di un esploratore americano dell'Oklaoma, assalito a 150
km. da lì, da un anaconda di 9 metri:l'americano, un osso molto duro,
aveva resistito e poi aiutato da guide con fucili aveva graziato il mostruoso
rettile. Verso le due, dopo un ottimo "cebiche" uscii dal ristorante
imbattendomi in uno splendido sorriso, era lei proprio, la divina Alejandra.
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