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Algeria: Oued Djerat ...beh.. beh.. beh!! PDF Stampa E-mail
Scritto da Marco Terzi   

"Ciò che non conosci, lo trovi dove non sei mai stato" - proverbio africano (da M.Aime - Taxi brousse).

Che sarebbe stato un bel viaggio, lo credevo già da qualche tempo, la certezza di un'altra bellissima esperienza l'ho avuta alla fine del primo giro di telefonate ai partecipanti : il fato aveva riunito otto persone con grande esperienza di viaggio, motivate e disponibili, questo trekking di fine 2002 nel Oued Djerat era nato sotto una buona stella !
In quei giorni, di armonia con la natura che ci circondava, e tra di noi, passo dopo passo è nata la voglia, quasi l'esigenza, di fissare qualche paesaggio, qualche volto, qualche emozione.
Spero di riuscire a trasmettere, almeno in piccola parte, qualcosa di tutto ciò : che questo scritto accenda l'interesse e la curiosità di chi abbia voglia di visitare questo splendido angolo di mondo.

Qualche notizia sul Oued Djerat
Grande fu la sorpresa del capitano Brenans, quando nel non lontano 1933, alla guida di una pattuglia di meharisti della Legione Straniera si trovò, quasi per caso, in una stretta e lunga valle, le cui pareti erano letteralmente piene di incisioni e di pitture rupestri : era la scoperta al mondo occidentale del Oued Djerat.
Le prime informazioni sul Sahara algerino furono disponibili soltanto a fine '800, elaborate da tale Abate Richard, ma fu soltanto grazie alle esplorazioni della Legione Straniera francese, cui appartenevano alcuni ufficiali realmente interessati allo studio di quelle zone, che le conoscenze si ampliarono decisamente.
Brenans avvisò della scoperta il noto studioso Henry Lhote, che all'epoca aveva già svolto una vasta serie di esplorazioni ed era un autorità in materia, e che guidò sul posto una ricognizione di studiosi, soprattutto francesi.
La guerra ed una serie di ritardi consentirono però a Lhote di continuare le ricerche e gli studi sul Oued Djerat soltanto nel 1956 ; questi proseguirono per alcuni anni, durante i quali ebbe modo di incontrare, tra gli altri, il nostro Fabrizio Mori, anch'esso un' autorità in materia di studi sahariani, ed anche Vittorio Franchini, scrittore ed autore (tra l'altro) di guide di viaggio, tra le quali quella sull'Algeria (edita da Polaris), dalla quale ho tratto le informazioni di questo capitolo e che non posso esimermi di citare.
Il Oued Djerat è, come detto, un lungo vallone quasi piano, meta di pellegrinaggio dei Tuareg che abitano il vicino altipiano del Fadnoun ; alcuni conducono ancor'oggi una vita semi-nomade, come del resto la guida che ci accompagnerà nel nostro trekking.
Fa parte della regione del Tassili, occupandone una delle parti più settentrionali ; da tempo la vasta area costituisce un Parco Nazionale, salvaguardato dallo stato algerino ; ormai da molti anni il Tassili è iscritto nella "World Heritage List" dell'UNESCO.
Le incisioni e le pitture rupestri (un migliaio !) raffigurano una fauna che non appartiene da molto tempo a quella tipica del deserto : elefanti, giraffe, rinoceronti, bovini (alcuni dei quali ormai estinti, come il grande Bubalus Antiquus) , oltre ovviamente a raffigurazioni umane e scene di caccia
Ci sono anche alcune rappresentazioni di tipo sessuale, uomini con falli giganteschi, scene di carattere "erotico", che probabilmente testimoniano la valenza religiosa e "sacrale" del sesso per i nostri progenitori di quelle parti …
Si può perciò soltanto presumere come fosse verdeggiante lo Oued Djerat nei millenni passati, considerando gli habitat tipici degli animali che lo abitavano ; non è nemmeno casuale che il termine "Tassili" nella lingua dei Tuareg, il tamaschek, significhi "altipiano dei fiumi" …
Vi è tuttavia un dato certo, una datazione ottenuta nel vicino Hoggar con il metodo del "carbonio 14" fa risalire l'inizio del periodo di inaridimento della zona a 2700 anni AC : il progressivo inaridimento (ed impoverimento) della zona non a caso coincide con il decadimento artistico delle incisioni presenti, delle quali il già citato Mori diede una schematizzazione :

1° periodo, "dei cacciatori" o "del Bubalus", da 10.000 a 7.000 anni AC ; prevalenza di incisioni di animali, scene di caccia, poche pitture. Buona parte delle incisioni del Oued Djerat appartengo a quest'epoca.
2° periodo, "delle Teste Rotonde", da 7.000 a 5.500 anni AC ; pitture ed incisioni che raffigurano in modo schematico figure umane, appunto con delle teste rotonde.
3° periodo, "pastorale" o "bovidiano", da 2.500 a 1.800 anni AC, prevalenza di pitture di stile evoluto, con scene di gruppo. Per le pitture, venivano utilizzati caolino (bianco), materiali combusti (nero) e scisti polverizzati (ocra), fissati poi con miele, latte e gomma di acacia : grazie a questi accorgimenti, ed al clima asciutto, si sono tramandate fino a noi.
4° periodo, "cavallino" o "equidiano", circa 1.500 anni AC ; prevalenza di figure e scene con bovini, asini, cavalli e carri schematizzati
5° periodo, "cammellino" o "volgare", da 1.500 anni AC all'anno zero , rappresenta il decadimento dello stile e la fine dell'arte rupestre nella zona.

Come si è detto, la zona è abitata dai Tuareg, una popolazione di ceppo berbero, che alcuni fanno discendere dai quasi mitici Garamanti, che abitavano la non distante zona dell' Acacus, oggi territorio libico.
Oggi ci sono 200/300.000 Tuareg, che abitano, oltre alle fascia meridionale dell'Algeria, vaste zone desertiche di Libia, Ciad, Mali e Niger ;nonostante la sempre più forte "arabizzazione" imposta dagli Stati centrali, molti riescono a conservare una spiccata identità sociale e religiosa.
Proprio in forza di ciò, il termine Tuareg non è loro particolarmente gradito, perché in arabo Tuareg significa "abbandonati", ed è usato dagli arabi con l'accezione negativa di "gente senza Dio" : loro preferiscono esser chiamati (e così si chiamano tra di loro) Imohagh, cioè "uomini liberi", e fino a 50 anni fa lo erano davvero !
Oltre che ad una cultura propria e millenaria, possiedono una lingua ed una scrittura propria, derivate dal berbero, che vengono identificati rispettivamente con i termini tamaschek e tifinagh : quest'ultima ha la particolarità di poter essere scritta (e letta …) da sinistra a destra, ma anche da destra a sinistra, così come dall'alto verso il basso e viceversa.

Il trekking
La fase di trasferimento dall'Italia ad Illizi, la piccola cittadina del Sud dalla quale partiremo per il trekking, si svolge senza problemi, quando scendiamo dalla scaletta, siamo già circondati dalle dune ambrate ; rapido trasferimento nella tranquilla cittadina ex-coloniale (si chiamava Fort Polignac …), qualche veloce acquisto (pane, frutta e verdura, taniche per l'acqua …) et voilà, eccoci all'incontro con la nostra guida Mokhtar ed i suoi figli, che ci accompagneranno nei prossimi giorni.
Il primo campo è poco fuori Illizi, in una valletta con dunette sabbiose, acacie e … un sacco di cammelli
"al pascolo" che ci circondano ; apparentemente indolenti, masticano placidi tenere foglioline e lunghe spine di acacia, ammorbando l'aria con delle micidiali flatulenze …
Le stelle cascano nuovamente su di noi, non siamo più abituati a vederne così tante ; la notte è fresca, ed è un eufemismo, perché alla mattina abbiamo la brina sulle tende, il termometro riporta una minima di -2 °C : nessun problema, le nostre attrezzature sono adeguate.
La mattina seguente iniziamo il nostro lungo cammino, percorreremo il Oued Djerat in tutta la sua lunghezza, circa 60 km., cui seguirà una lunga traversata sul desolato, quasi lunare altipiano del Fadnoun, per altri 40 km. circa.
Purtroppo non abbiamo una carta dettagliata della zona, ma soltanto una mappa disegnata tempo fa dal già citato H.Lhote, le distanze percorse sono perciò forzatamente approssimative …
L'ambiente è subito molto bello e selvaggio, camminiamo agevolmente su terreni compatti seguendo Mokhtar, che ci precede con passo agile ed elegante; il primo giorno camminiamo per alcune ore senza vedere alcuna incisione rupestre, ma diventeranno poi numerosissime nei giorni seguenti.
Ogni giorno, verso mezzogiorno gli amici Tuareg si fermano, spesso accendono il fuoco per preparare il loro pranzo, ai ritmi lenti e rilassati cui sono abituati, nel frattempo loro riposano ed i cammelli, scaricati dai basti, pascolano intorno a noi.
Noi siamo più rapidi con la parte-cibo, soprattutto perchè non abbiamo bisogno di fuoco, e così qualcuno ne approfitta per un rapido pisolino, grazie anche alla sabbia morbida ed all'ottima temperatura.
Le soste durano quasi sempre un paio d'ore, poi riprendiamo il cammino per qualche ora ancora, fino allo stop definitivo : per i campi, Mokhtar sceglie quasi sempre posti bellissimi e riparati dal vento, che spesso verso il tramonto spira un po' fastidioso
Possibilmente ci si ferma vicino a qualche guelta (le zone umide tipiche dell'ambiente desertico, a volte soltanto dei piccoli specchi d'acqua di pochi metri quadri, circondati da vegetazione ed orme di animali che vi si recano durante la notte) dove fare rifornimento d'acqua ; spesso ne approfittiamo per rinfrescarci un poco, facendo ben attenzione a non sporcare l'acqua, che va lasciata … come la si è trovata, cioè limpidissima.
I nostri amici Tuareg sono molto sensibili alla pulizia ed al rispetto dei luoghi ove passiamo e ci fermiamo, spesso vediamo Mokhtar chinarsi a raccogliere qualche cartone o qualche contenitore di plastica (e non sono pochi, anche in questi luoghi remoti, specie nelle "zone di sosta" più belle), che poi getta nel fuoco con uno sguardo di riprovazione
Mi piace pensare che abbia notato l'attenzione che prestiamo anche noi alla conservazione dei luoghi che ci ospitano ; a volte ci dice qualcosa che non capiamo, mentre gironzolando per il campo raccogliamo qualche rifiuto, forse ci sta dicendo "grazie per aiutarci a conservare la valle dove sono nato com'è dai tempi in cui i miei (nostri) antenati incidevano le rocce".
Più ci addentriamo nel lungo vallone, più cresce il numero e la qualità delle incisioni e delle piutture ; spesso sono lì, ai bordi del sentiero, altre volte seguiamo Mokhtar, che si inerpica sui lastroni rocciosi sui fianchi della valle.
Facciamo un bel po' di movimento, le soste di mezzogiorno sono gradite ed anche il momento in cui si monta il campo alla sera non ci dispiace affatto, sia per la bella luce radente che ci accompagna sempre,
ma … anche perché arriviamo a sera affamati !
I giorni centrali del trekking sono forse quelli più interessanti, le incisioni sono tante e belle, l'ambiente ci riserva sempre nuovi stupefacenti scenari, l'atmosfera che si è ormai creata tra di noi, rendono particolarmente piacevoli le giornate ; ci siamo ormai adeguati ai nuovi ritmi, abbandonando la frenesia che ci eravamo portati da casa ed alla quale, ogni tanto ce ne rendiamo conto, ahinoi torneremo tra qualche giorno soltanto …
L'ultimo dell'anno è uno dei giorni in cui viviamo i nostri "riti di passaggio", tutto sommato non ci dispiace affatto (anzi !) preparare qualcosa di più accurato per cena, prepariamo anche qualche "tartina" con i crackers e le melanzane fatte-dalla-mamma (di Sabrina) ; anche il tradizionale panettone, sempre caro a noi milanesi (e non solo), quest'anno ha un sapore particolare, ne offriamo qualche fetta ai frugali amici Tuareg, che paiono apprezzare …
Durante il cammino, incontriamo pochissime persone, soltanto un altro gruppo di Italiani il primo dell'anno e, nei giorni seguenti, alcuni pastori nelle loro misere capanne lungo il sentiero ; ancora bellissime incisioni, tra le quali quelle di Tin Tehert, un sito "noto" per i disegni di alcune giraffe, impressionanti per qualità del tratto e per le dimensioni, quasi a grandezza naturale !
Superate i verdeggianti palmeti di Nafeg, ormai semi-abbandonati, siamo quasi alla testata della valle ; ad un certo punto, saliamo una montagna che si presenta alla nostra destra, della quale purtroppo non riusciamo a determinare il nome nemmeno con l'aiuto di Mokhtar.
In una mezz'oretta siamo in cima, per tracce di sentiero (ci sono anche alcuni ometti, 1200 metri s.l.m.), la vista da lassù è bellissima : sotto di noi il nastro verde del Oued Djerat appena percorso, alle nostre spalle ed a perdita d'occhio, l'altipiano quasi lunare del Fadnoun, dove ci dirigeremo per i giorni conclusivi del trekking.
Ancora una guelta, dall'acqua cristallina ed incassata tra le rocce, e siamo sul Fadnoun : le incisioni sono ormai terminate, il cammino si fa più veloce, di giorno la temperatura è spesso sopra i 35 °C, sebbene sia mitigata da un piacevole venticello.
L'ambiente è ormai cambiato completamente, l'ampia pianura rocciosa dove ci troviamo non è affatto monotona, anche tra le rocce riusciamo a mettere un campo confortevole ; una lunga discesa ci porta il giorno seguente fino al bel villaggio di Ugdada, dove ci sono molte abitazioni in pietra, con tetti di legno e frasche, di fianco ad una bella, ampia guelta : è l'ultima sera che passiamo insieme agli amici Tuareg, ed un po' di tristezza fa capolino qua e là …
La mattina seguente gironzoliamo curiosi per il villaggio, che viene abitato soltanto nel periodo delle piogge, una visita ad un'ultima, ennesima, piacevole guelta, saliamo poi un colle e … ci sono le jeep !
Non ci aspettavamo di trovarle lì … improvvisamente … così presto …, il brusco "ritorno alla civiltà" ci lascia un po' storditi, salutiamo calorosamente gli amici Tuareg, il viaggio continua !

La conclusione del viaggio
Saliamo quasi a malincuore sulle jeep, dirigendoci veloci sull'ottima strada asfaltata che va a Sud, in direzione di Djanet. Siamo quasi a disagio, non è più il nostro ritmo e sembra quasi un altro viaggio, ma apprezziamo i magnifici scenari che si presentano di fronte e, talvolta, sotto di noi : in alcuni punti la strada si attorciglia intorno a torrioni rocciosi, che costeggiamo su ampi e dissestati tornanti.
Più spesso la strada è piana, fino alla inaspettatamente verdeggiante piana di Dider : è ormai il tramonto, la calda luce radente ci accompagna nelle breve ma remunerativa visita all'omonimo sito, dove ci sono poche ma raffinate incisioni rupestri, alcuni delle quali sono molto note, e che hanno nomi suggestivi, come "l'antilope dormiente" o "la vacca ricciuta".
L'ultimo campo è all'imbocco di un piccolo oued, tra torrioni di arenaria compenetrati da lingue di sabbia finissima, i colori di rocce e sabbia cambiano quasi di minuto in minuto, fino allo scomparire del sole dietro i primi contrafforti del Tassili n'Ajier davanti a noi ; ammiriamo lo spettacolo dai punti panoramici dove ci siamo arrampicati.
Prepariamo una ricchissima cena, grazie anche al contributo di Ibrahim ed Eliàs, che preparano per noi alcune specialità Tuareg, quasi d'obbligo la famosa tagella, il pain de sable cotto sotto sabbia e braci.
Fa piuttosto freddo anche stasera, ormai siamo in campo aperto e non più in posizione protetta come nei giorni scorsi, ma gli unici che patiranno il freddo saranno i due sprovveduti (anche di coperte) autisti.
Il giorno seguente la rapida cavalcata verso l'oasi di montagna di Iherir, non senza esserci fermati in un accampamento ad assaggiare il latte di cammella, ma anche aver ammirato da uno splendido punto panoramico il villaggio di Edaran, incastonato tra la montagna altissima ed il verde, omonimo oued.
Ci fermiamo brevemente a casa di parenti di Eliàs, che ci offrono cous-cous e l'immancabile tè, insistiamo per lasciar loro qualche cosa (cibo, denaro…) ma non vogliono nulla, poi ancora qualche ora di jeep verso Illizi, dove finalmente ci faremo una sospirata, meritata doccia, e le nostre ragazze usciranno ancor più splendenti (violino …!) dalla coiffeuse di fianco al nostro Ostello.
Il viaggio è ormai al termine, la mattinata seguente vola veloce tra gli ultimi (ed anche primi, a dire il vero) acquisti, datteri e croci Tuareg in quantità, in serata lo scorbutico manager dell'albergo di Algeri ci dà il "bentornati" alla città, poi la cena di fine viaggio sembra aver suggellato degnamente il viaggio ma … una sorpresa ci attende ancora !
Di ritorno dal semplice, popolare ristorante, ci fermiamo in un bar per il "bicchiere -di tè- della staffa" (ed anche dolcini arabi !), quando un locale inizia a parlarci in un Italiano molto buono : scopriamo che ha vissuto a lungo in Italia ed è sposato con un Italiana ; noi gli raccontiamo del nostro viaggio, e di come alcuni di noi siano degli entusiasti visitatori del Sahara algerino, insomma, facciamo un po' amicizia.
Grande sarà il nostro stupore quando, poco più tardi, il padrone del bar ci dirà che le nostre consumazioni sono state pagate dal nostro nuovo amico algerino, che ha voluto in questo modo ringraziarci della nostra entusiasta presenza nel suo Paese.
Lo ringrazieremo commossi, consapevoli che il fato, già citato e benevolo fin dall'inizio del viaggio, ci aveva regalato una splendida quanto inaspettata conclusione.

Breve presentazione dei partecipanti
Per prime, le nostre splendide guide Tuareg, il già citato Mokhtar ed i figli Salah, Sidi e Machari : purtroppo nessuno di loro parlava francese (soltanto il giovane Salah ne conosceva qualche parola), ma soltanto il tamaschek.
Grazie ad un piccolo glossario Italiano/Tamaschek che avevamo (due paginette …) ed alla buona volontà reciproca, ci siamo (quasi) sempre capiti alla perfezione, e comunque non abbiamo mai avuto alcun problema in questo senso.
Ci resta il rimpianto di non aver potuto avere, per i motivi detti sopra, un rapporto più stretto con loro, ci siamo immaginati tante volte quante storie ci avrebbe potuto raccontare il fiero (ma non superbo) Mokhtar, che vive in un mondo (ed in un modo) a poche ore di volo dal nostro, ma che è così distante, sotto ogni punto di vista !
Mokhtar conosce perfettamente il Oued Djerat : grazie a lui, che si arrampicava veloce e sicuro sulle placche scure ai lati della valle, abbiamo visto … praticamente tutte le incisioni e le pitture possibili.
Che tenerezza, il fiero Mokhtar che ci indica con il suo bastone-bacchetta i graffiti, e ci dice di cosa si tratta … noi mostriamo di capire (dal disegno …) cosa rappresentano, lui si inorgoglisce, e ci dice spiega altre cose, che non capiremo mai …
Ancor oggi lui e la sua famiglia conducono una vita semi-nomade, alternando periodi nella casa di Illizi con i pochi giri con gli scarsi visitatori della zona, ad altri in cui svolgono piccoli commerci e trasporti ; specie nel periodo delle pioggie (in questa zona non così infrequenti come si potrebbe pensare) svolgono anche attività di raccolta di datteri ed altra frutta che cresce nei palmeti semi-abbandonati del Oued Djerat.
I figli, tutti intorno ai vent'anni (credo …) conducevano i cammelli, facevano rifornimento d'acqua nelle guelta che ritenevano adeguate, non tutte lo sono.
Ci davano una mano nella raccolta della legna, non senza guardarci tra lo stupito ed il divertito per la nostra inesperienza di fronte ad operazioni che per loro sono quotidianità ; un paio di volte sono tornati dai palmeti con dei vassoi pieni di fichi (freschi), i nostri sguardi grati e quasi increduli sono stati per loro un ampia ricompensa.
Probabilmente era uno dei primi giri che facevano con dei turisti, spesso scoppiavano in sorrisi larghissimi, se non vere e proprie risate quando alla sera, intorno al fuoco, ci cimentavamo nell' "arte" di versare il tè alla maniera Tuareg, o quando cercavamo di comunicare in qualche modo con loro, scrivendo nella sabbia le nostre parole nel nostro alfabeto, che Mokhtar ripeteva a voce alta, scrivendole poi su un minuscolo fogliettino che custodiva gelosamente nella sua gandoura.

Per rispetto, ma soprattutto per la "nobiltà" della loro figura, non hanno ricevuto alcun soprannome, i compagni di viaggio, come tradizione dell'amico Stefano e mia, SI, eccoli :
- Gaudenzia, detta "Madama Butterfly" : esperta viaggiatrice, sempre allegra ed aff(id)abile (come del resto le altre … vediamo di cominciare bene !), si è mangiata una quantità di datteri quasi pari a quella del coordinatore, grosso il doppio di lei. Ci ha deliziati con le sue golose ed insuperabili zuppe di "limo" (tutt'oggi ignoriamo di cosa si tratti) : proprio la sua passione per quanto proveniente dal Sol Levante le è valso il soprannome.
- Maria, detta "'nu jeans e 'na maglietta" : la simpatia e la verve della gente del Sud, la (quasi) perfetta conoscenza di un sacco di canzoni "giuste" (quando cantava Quanno chiove ci si commuoveva), la compagna di viaggio che tutti vorrebbero avere.
Il nick è ampiamente giustificato dal bagaglio, quantomeno essenziale : 5 kg., tenda esclusa !
- Rosa , detta "L'imbuto nordeste" : un curriculum di viaggi da far impallidire Licia Colò, Osvaldo Bevilacqua e Bruce Chatwin (ardito accostamento, nevvero ?) messi insieme, la concretezza e l'ampia disponibilità, tipica del popolo furlan, ne hanno fatto una componente irrinunciabile del gruppo.
Nei momenti più delicati (cioè quando serviva riempire le borracce), lei e l'inseparabile imbuto rosso erano lì !
- Sabrina, detta "Immacolata Braga" : allenatissima, sempre sorridente ed attiva, quasi trasognata tra tante meraviglie (si parla dei luoghi, non dei maschietti del gruppo, of course), al primo viaggio impegnativo con AnM ma perfettamente a suo agio con tende (tecnica di piegatura perfettibile), pentole e picchetti.
Mentre le macchie sui nostri pantaloni crescevano tutti i giorni, i suoi erano sempre perfetti, lindi, quasi
stirati : sospettiamo ne avesse 10 paia uguali nel container di nylon che si trascinava, ma non lo ha mai confessato; il soprannome è venuto naturale.
- Stefania, detta "Bloody Stefy" : niente di truculento, anche se sono convinto che il muflone sia scappato giusto in tempo, sarebbe stata capace di sgozzarlo e scuoiarlo con le sue mani : ma quel giorno la marcia era stata fatale ai riflessi della vulcanica ex-scout. La maestrìa e l'inventiva con la quale ha saputo preparare, con mezzi ed ingredienti di fortuna, degli splendidi drinks, le hanno fatto meritare il soprannome.
- Stefano, detto "Il bracconiere" : compagno di tanti, fortunati viaggi, comincio a credere che porti fortuna : da qualche tempo a questa parte i gruppi sono sempre ottimi. In realtà la sua disponibilità e simpatia, lo sterminato repertorio di barzellette, ma sì … anche il suo -talvolta irrefrenabile- eloquio ne fanno un forte elemento di coesione del gruppo ; il compagno di viaggio che vorremmo sempre (evvai con le sviolinate !).
Il nick è storico, a causa delle sue caccie (non di selvaggina …) in territori riservati (fanciulle già
accasate …).
- Walter, detto "Wild wild Bob" : all'inizio abbiamo scambiato la sua riservatezza con scontrosità, ma quando ha capito che "era tra amici" (due giorni, ci son voluti !) non l'ha più fermato nessuno.
Grande camminatore, occhio in simbiosi con la fidata Nikon (che a volte lo tradisce), lo ringraziamo ancora per aver acceso il fuoco ed il gas tutte le (fredde) mattine.
La somiglianza con Robert Mitchum, la sua immagine con lo specchio appeso al ramo mentre si rade, ci hanno fatto pensare che uscisse da un film di Sergio Leone.
- Marco, detto "L'uomo del giorno dopo" : i suoi continui, insopportabili incisi lo hanno fatto stare subito sulle palle a tutti, continuava a rimandare (al giorno seguente ? a … mai ?) le sue spiegazioni ed i suoi mirabolanti
(ma va là …) racconti di viaggio : questa potrebbe essere la motivazione (con -speriamo- qualche esagerazione) del soprannome.
Il suo bizzarro intercalare (beh … beh … beh !) ha contagiato il gruppo dopo pochi giorni, fino ad ispirare il titolo di questo scritto.
Altro non vi dico : narcisista sì, ma con juicio !

In realtà, restando in tema di nick, ci sono anche gli imbelli Bibì (Ibrahim) e Bibò (Eliàs), i due autisti della parte "motorizzata" del viaggio : memorabile il tentativo (fantozziano) di spaccare un tronco passandoci sopra con la jeep, cercando di tenerne ferma un estremità con le mani !
Mani che peraltro, proprio come dei monellacci, hanno allungato troppo : meno male che Bloody Stefy ha pensato prima di tutto al gruppo, sennò toccava a noi guidare le jeep, con Bibì e Bibò, monchi, nel bagagliaio …

Un abbraccio ai compagni di viaggio, un arrivederci a tutti …Marco Terzi

 

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