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Uganda, la perla verde PDF Stampa E-mail
Scritto da Giuseppe Cotichini   

Andiamo in Uganda per 'incontrare' i gorilla di montagna. Un magnifico animale, in via di estinzione, che non è possibile osservare in cattività.



Organizziamo un tour 'a modo nostro' di una ventina di giorni che ci consente di visitare i parchi più rinomati di questo meraviglioso paese. E di fare una puntata anche in Rwanda.
Da Roma, via Londra, sbarchiamo a Entebbe. Giusto il tempo per il pranzo ed eccoci a bordo di una barca veloce che fende le acque del Lago Vittoria, il terzo al mondo per estensione. Siamo diretti all'isola di Ngamba, ove Jane Goodall, la famosa primatologa inglese, ha istituito uno dei suoi più noti santuari per gli scimpanzé. Un vero e proprio orfanotrofio che ospita 39 individui rimasti soli, a causa del bracconaggio e della guerra, soprattutto nel Congo. Le scimmie durante il giorno frequentano la vasta foresta, anche se non verranno più restituite alla vita selvaggia, ove sarebbero rifiutate ed uccise dai propri simili. Gli scimpanzè simpatizzano con i visitatori che addirittura li accompagnano nel bush. Anche se a volte risultano piuttosto aggressivi e molesti. Fanno un enorme fracasso, si agitano, saltano, giocano, sgambettano, litigano, urlano. Noi lanciamo delle banane da una ventina di metri, oltre il recinto, e loro le afferrano al volo con le mani enormi. Il giorno seguente perlustriamo il parco del Lake Mburo, che ospita delle bellissime zebre. Ma anche talune antilopi piuttosto rare come i damalischi, gli eland, i roan, i reedbuck, i klipspringer, olte ad altri animali.
Di buon mattino ci trasferiamo nel Bwindi, attraverso una regione verdissima denominata 'la piccola Svizzera'.
L'indomani faremo visita al più grande dei primati: il gorilla di montagna. Alloggiamo nella Fattoria Buhoma, che nel 1999 fu teatro di una orribile tragedia. Una mattina all'alba alcuni ribelli ugandesi, sanguinari e spietati, fecero irruzione nel lodge, dove rapirono 14 turisti stranieri, costretti a seguirli nella foresta. Qui ne massacrarono otto a colpi di macete: inglesi, americani e neozelandesi, i cui miseri resti, raccolti in sacchetti di plastica, furono, poi, ricondotti e scaricati sulla piazzola d'ingresso del rifugio.
Uno scempio disumano. Non meno feroce di quello che, ancor oggi, commettono i bracconieri congolesi sui poveri gorilla, vittime inermi ed indifese di tanta criminale ferocia.
Finalmente arriva il momento di affrontare la Bwindi Impenetrable Forest, una fittissima giungla, veramente impenetrabile, che ammanta di verde smagliante l'imponente montagna. Iniziamo l'ascesa lungo lo stretto sentiero a precipizio che la costeggia a zig zag, rampa dietro rampa, e che diventa, man mano che sale, sempre più ripido e scivoloso. Camminiamo su un tappeto di foglie marce e di radici, sprofondando nel fango e nelle pozzanghere. Nonostante le scarpe da trekking e il bastoncino telescopico, io incontro grosse difficoltà nel salire. Tormentato dalle vertigini e castigato dall'età. Arranco a fatica, respirando affannosamente. Di tanto in tanto sono costretto a fermarmi. Nei punti critici dove il percorso s'inerpica maggiormente, i portatori, che trasportano i nostri indumenti e la nostra attrezzatura, mi spingono da dietro. Sotto di noi si aprono burroni paurosi e fantastici orizzonti. Impieghiamo quasi cinque ore per giungere in vetta a quota 2607 metri.
Gli ultimi 500 sono i più impegnativi. Lo stradello finisce e resta soltanto l'inestricabile vegetazione del sottobosco. Un mare verde di felci (alte come noi), di arbusti e di ortiche. Ci apriamo il passo a colpi di macete. Addirittura scolliniamo, entrando in territorio congolese. Lassù ci attendono i trackers, gli inseguitori dei gorilla, che ne hanno individuato una famiglia. E' giunto il momento dell'attesissimo incontro. L'emozione ci assale. Passo dopo passo raggiungiamo un pianoro. Ed ecco apparire un cucciolo che si avvicina per curiosare. Seminascosta fra gli arbusti intravediamo una femmina adulta. Poi un'altra esce allo scoperto e si fa vedere .D'un tratto ci passa davanti il capo famiglia, un possente silverback di almeno 180 chili. Restiamo come folgorati.

Siamo davvero a tu per tu con i gorilla. Quelli famosi del Bwindi. Li avviciniamo sino a tre metri, molto meno del limite minimo consentito. Spariamo foto e videoriprese da tutte le posizioni. Per un'ora di seguito, specie al cucciolo che si rotola per terra o si lascia dondolare da un ramo.Ora capiamo perché Dian Fossey abbia speso la propria vita per salvare queste scimmie che ci rassomigliano tanto. Qui ne vivono circa 320 esemplari, all'incirca la metà della residua popolazione esistente. Confesso che tanta fatica è stata abbondantemente ripagata. Abbiamo vissuto un'esperienza straordinaria ed indimenticabile. Impieghiamo un paio d'ore per la discesa. Otto in tutto. Come premio la guida consegna anche a me il diploma di partecipazione al track. Ne vado fiero.
Il giorno seguente partiamo per il Rwanda, alla volta del Parc des Volcans.Ho in programma un altro 'incontro ravvicinato' con i gorilla, proprio sul monte Visoke, dove Dian Fossey, in località Karisoke, costruì la sua prima capanna. E dove fu barbaramente uccisa e tutt'ora riposa. Ma seppure a malincuore ci rinuncio. Luciana lo aveva già deciso in partenza. Al mio posto mando Hassan, la nostra guida. La prossima tappa avrebbe previsto il Murchison Falls National Park, nel nord del paese, ma siamo costretti a cancellarla. Infatti la nostra ambasciata a Kampala ci ha fortemente sconsigliato di recarci in quella regione, dove dei pericolosi guerriglieri hanno recentemente compiuto gravi atti di violenza ai danni di turisti stranieri.
Per cui, rientrati in Uganda, dirottiamo sul Parco Queen Elizabeth. Un territorio bellissimo con vaste e verdissime praterie, laghi e boschi, ricco di animali di tutte le specie. Tra cui i famosi leoni che si arrampicano sugli alberi, gli elefanti (come in Tanzania), le iene, i bufali, gli ilocheri e un'infinità di Uganda kob, un'antilope endemica di questa zona.
Ma le emozioni più grandi le proviamo durante la gita in battello sul Kazinga Channel.
Navighiamo molto lentamente costeggiando la riva. Ci scorrono davanti interminabili colonie di ippopotami. Poi grandi mandrie di bufali al bagno.E ancora: elefanti isolati, sciacalli, facoceri. Osserviamo centinaia e centinaia di uccelli a terra e in volo. Ci sono isolotti letteralmente invasi da fitte schiere di cormorani, molto chiassosi o da pellicani, oche, anatre, cicogne. Per non dire degli uccellini coloratissimi che sciamano da riva a riva. E'un'atmosfera da sogno. Il trionfo della Natura.
Adesso ci attende la Foresta di Kibale, che vanta la più elevata densità di primati del mondo. Scortati da una guida armata penetriamo nella giungla. Procediamo a fatica e a colpi di macete, in un groviglio di rami, di liane, di fronde e di arbusti, scavalcando grossi fusti di piante morte, enormi radici e tronchi stranamente incurvati. Il sole filtra a fatica fra il folto fogliame di un mare di alberi altissimi. A terra una morbida coltre di foglie marce che emana un forte odore di muffa. Andiamo in cerca degli scimpanzè, ma con poca fortuna. Poi dopo un paio d'ore di cammino l'apripista si ferma e ci fa segnali con la mano. Udiamo il rumore dei rami che si agitano, un vociare chiassoso, ma intravediamo appena le scimmie, appollaiate in cima a piante gigantesche. Intanto comincia a piovere. Appena il tempo di indossare il kway quando l'acqua prende a cadere a dirotto. Il fragore dei fulmini ci intimorisce. Questo non è certo il posto ideale per le saette! Non riusciamo neppure a filmare .La copertina protettiva della telecamera è tutta coperta di condensa.
Ci accontentiamo di seguire le evoluzioni aeree di qualche scimmia, di seguire i litigi dei maschi più prepotenti, di udire il grande fracasso che fa l'intera famiglia.Sulla via del ritorno abbiamo decisamente più fortuna. Una grossa tribù di scimpanzè ci attraversa la strada. Ora riusciamo a osservarli abbastanza da vicino.
Pernottiamo, infine, sul Lago Vittoria. Prima di tornare a Kampala dedichiamo una mattinata alle sorgenti e alle cascate del Nilo Bianco ugandese.
L'ultima chicca di questo tour.

Testo di Giuseppe Cotichini
Foto di Luciana Ciocci


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