Andiamo
in Uganda per 'incontrare' i gorilla di montagna. Un magnifico animale, in via
di estinzione, che non è possibile osservare in cattività.
Organizziamo un tour 'a modo nostro' di una ventina di giorni
che ci consente di visitare i parchi più rinomati di questo meraviglioso paese.
E di fare una puntata anche in Rwanda.
Da Roma, via Londra, sbarchiamo a Entebbe. Giusto il tempo per il pranzo ed
eccoci a bordo di una barca veloce che fende le acque del Lago Vittoria, il
terzo al mondo per estensione. Siamo diretti all'isola di Ngamba, ove
Jane Goodall, la famosa primatologa inglese, ha istituito uno dei suoi più
noti santuari per gli scimpanzé. Un vero e proprio orfanotrofio che ospita 39
individui rimasti soli, a causa del bracconaggio e della guerra, soprattutto nel
Congo. Le scimmie durante il giorno frequentano la vasta foresta, anche se non
verranno più restituite alla vita selvaggia, ove sarebbero rifiutate ed uccise
dai propri simili. Gli scimpanzè simpatizzano con i visitatori che addirittura
li accompagnano nel bush. Anche se a volte risultano piuttosto aggressivi e
molesti. Fanno un enorme fracasso, si agitano, saltano, giocano, sgambettano,
litigano, urlano. Noi lanciamo delle banane da una ventina di metri, oltre il
recinto, e loro le afferrano al volo con le mani enormi. Il giorno seguente
perlustriamo il parco del Lake Mburo, che ospita delle bellissime zebre.
Ma anche talune antilopi piuttosto rare come i damalischi, gli eland, i roan, i
reedbuck, i klipspringer, olte ad altri animali.
Di buon mattino ci trasferiamo nel Bwindi, attraverso una regione
verdissima denominata 'la piccola Svizzera'.
L'indomani faremo visita al più grande dei primati: il gorilla di montagna.
Alloggiamo nella Fattoria Buhoma, che nel 1999 fu teatro di una orribile
tragedia. Una mattina all'alba alcuni ribelli ugandesi, sanguinari e spietati,
fecero irruzione nel lodge, dove rapirono 14 turisti stranieri, costretti a
seguirli nella foresta. Qui ne massacrarono otto a colpi di macete: inglesi,
americani e neozelandesi, i cui miseri resti, raccolti in sacchetti di plastica,
furono, poi, ricondotti e scaricati sulla piazzola d'ingresso del rifugio.
Uno scempio disumano. Non meno feroce di quello che, ancor oggi, commettono i
bracconieri congolesi sui poveri gorilla, vittime inermi ed indifese di tanta
criminale ferocia.
Finalmente arriva il momento di affrontare la Bwindi Impenetrable Forest,
una fittissima giungla, veramente impenetrabile, che ammanta di verde smagliante
l'imponente montagna. Iniziamo l'ascesa lungo lo stretto sentiero a precipizio
che la costeggia a zig zag, rampa dietro rampa, e che diventa, man mano che
sale, sempre più ripido e scivoloso. Camminiamo su un tappeto di foglie marce e
di radici, sprofondando nel fango e nelle pozzanghere. Nonostante le scarpe da
trekking e il bastoncino telescopico, io incontro grosse difficoltà nel salire.
Tormentato dalle vertigini e castigato dall'età. Arranco a fatica, respirando
affannosamente. Di tanto in tanto sono costretto a fermarmi. Nei punti critici
dove il percorso s'inerpica maggiormente, i portatori, che trasportano i nostri
indumenti e la nostra attrezzatura, mi spingono da dietro. Sotto di noi si
aprono burroni paurosi e fantastici orizzonti. Impieghiamo quasi cinque ore per
giungere in vetta a quota 2607 metri.
Gli ultimi 500 sono i più impegnativi. Lo stradello finisce e resta soltanto
l'inestricabile vegetazione del sottobosco. Un mare verde di felci (alte come
noi), di arbusti e di ortiche. Ci apriamo il passo a colpi di macete.
Addirittura scolliniamo, entrando in territorio congolese. Lassù ci attendono i
trackers, gli inseguitori dei gorilla, che ne hanno individuato una famiglia. E'
giunto il momento dell'attesissimo incontro. L'emozione ci assale. Passo dopo
passo raggiungiamo un pianoro. Ed ecco apparire un cucciolo che si avvicina per
curiosare. Seminascosta fra gli arbusti intravediamo una femmina adulta. Poi
un'altra esce allo scoperto e si fa vedere .D'un tratto ci passa davanti il capo
famiglia, un possente silverback di almeno 180 chili. Restiamo come folgorati.
Siamo davvero a tu per tu con i gorilla. Quelli famosi del
Bwindi. Li avviciniamo sino a tre metri, molto meno del limite minimo
consentito. Spariamo foto e videoriprese da tutte le posizioni. Per un'ora di
seguito, specie al cucciolo che si rotola per terra o si lascia dondolare da un
ramo.Ora capiamo perché Dian Fossey abbia speso la propria vita per salvare
queste scimmie che ci rassomigliano tanto. Qui ne vivono circa 320 esemplari,
all'incirca la metà della residua popolazione esistente. Confesso che tanta
fatica è stata abbondantemente ripagata. Abbiamo vissuto un'esperienza
straordinaria ed indimenticabile. Impieghiamo un paio d'ore per la discesa. Otto
in tutto. Come premio la guida consegna anche a me il diploma di partecipazione
al track. Ne vado fiero.
Il giorno seguente partiamo per il Rwanda, alla volta del Parc des Volcans.Ho
in programma un altro 'incontro ravvicinato' con i gorilla, proprio sul monte
Visoke, dove Dian Fossey, in località Karisoke, costruì la sua prima capanna. E
dove fu barbaramente uccisa e tutt'ora riposa. Ma seppure a malincuore ci
rinuncio. Luciana lo aveva già deciso in partenza. Al mio posto mando Hassan, la
nostra guida. La prossima tappa avrebbe previsto il Murchison Falls National
Park, nel nord del paese, ma siamo costretti a cancellarla. Infatti la
nostra ambasciata a Kampala ci ha fortemente sconsigliato di recarci in quella
regione, dove dei pericolosi guerriglieri hanno recentemente compiuto gravi atti
di violenza ai danni di turisti stranieri.
Per cui, rientrati in Uganda, dirottiamo sul Parco Queen Elizabeth. Un
territorio bellissimo con vaste e verdissime praterie, laghi e boschi, ricco di
animali di tutte le specie. Tra cui i famosi leoni che si arrampicano sugli
alberi, gli elefanti (come in Tanzania), le iene, i bufali, gli ilocheri e
un'infinità di Uganda kob, un'antilope endemica di questa zona.
Ma le emozioni più grandi le proviamo durante la gita in battello sul Kazinga
Channel.
Navighiamo molto lentamente costeggiando la riva. Ci scorrono davanti
interminabili colonie di ippopotami. Poi grandi mandrie di bufali al bagno.E
ancora: elefanti isolati, sciacalli, facoceri. Osserviamo centinaia e centinaia
di uccelli a terra e in volo. Ci sono isolotti letteralmente invasi da fitte
schiere di cormorani, molto chiassosi o da pellicani, oche, anatre, cicogne. Per
non dire degli uccellini coloratissimi che sciamano da riva a riva.
E'un'atmosfera da sogno. Il trionfo della Natura.
Adesso ci attende la Foresta di Kibale, che vanta la più elevata densità
di primati del mondo. Scortati da una guida armata penetriamo nella giungla.
Procediamo a fatica e a colpi di macete, in un groviglio di rami, di liane, di
fronde e di arbusti, scavalcando grossi fusti di piante morte, enormi radici e
tronchi stranamente incurvati. Il sole filtra a fatica fra il folto fogliame di
un mare di alberi altissimi. A terra una morbida coltre di foglie marce che
emana un forte odore di muffa. Andiamo in cerca degli scimpanzè, ma con poca
fortuna. Poi dopo un paio d'ore di cammino l'apripista si ferma e ci fa segnali
con la mano. Udiamo il rumore dei rami che si agitano, un vociare chiassoso, ma
intravediamo appena le scimmie, appollaiate in cima a piante gigantesche.
Intanto comincia a piovere. Appena il tempo di indossare il kway quando l'acqua
prende a cadere a dirotto. Il fragore dei fulmini ci intimorisce. Questo non è
certo il posto ideale per le saette! Non riusciamo neppure a filmare .La
copertina protettiva della telecamera è tutta coperta di condensa.
Ci accontentiamo di seguire le evoluzioni aeree di qualche scimmia, di seguire i
litigi dei maschi più prepotenti, di udire il grande fracasso che fa l'intera
famiglia.Sulla via del ritorno abbiamo decisamente più fortuna. Una grossa tribù
di scimpanzè ci attraversa la strada. Ora riusciamo a osservarli abbastanza da
vicino.
Pernottiamo, infine, sul Lago Vittoria. Prima di tornare a Kampala dedichiamo
una mattinata alle sorgenti e alle cascate del Nilo Bianco ugandese.
L'ultima chicca di questo tour.
Testo di Giuseppe Cotichini
Foto di Luciana Ciocci
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