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Il mistero delle tartarughe di Sipadan PDF Stampa E-mail
Scritto da Marco Tonacci   

Nell'Aprile del 1988 il Comandante Jacques Cousteau con la sua equipe navigavano nelle acque del Borneo malese, quando approdarono all'isola di Sipadan. Durante un'immersione, videro uscire da un'apertura nella roccia, una tartaruga di mare e poi un'altra ancora. Incuriositi si infilarono nell'anfratto e si trovarono all'interno di una grotta. Nuotarono per alcuni metri fino a raggiungere un tunnel che imboccarono percorrendolo per venti metri circa; alla fine del tunnel si aprì una seconda grotta. Fu allora che si trovarono di fronte ad una scena spettrale: una tartaruga galleggiava immobile con il carapace a contatto con il soffitto, gli occhi spalancati e lo sguardo vuoto: era morta da poco. I sub penetrarono sempre più all'interno e scoprirono un'altra tartaruga anch'essa morta di recente. Fu però quando illuminarono il fondo che si trovarono di fronte ad una sorpresa, se possibile, più grande: il pavimento era ricoperto di scheletri di tartarughe; ce ne erano a decine a testimonianza del fatto che questo fenomeno accadeva ormai da molti anni. Giunsero alla conclusione che le tartarughe entravano nella caverna e si trovavano intrappolate nei meandri della grotta morendo inevitabilmente soffocate.
Ricordo che rimasi colpito sin da subito da questa storia e promisi a me stesso che un giorno sarei entrato anch'io in quella grotta.


Agosto 2008. Sono seduto al tavolo nel ristorante del Mabul Island Resort ed a circa 8 miglia di distanza si staglia nitidamente la silouette dell'isola di Sipadan. Domani sarà il grande giorno. L'attesa degli anni passati mi fa assaporare ancora di più questo momento.
David è l'istruttore che ci accompagnerà domani; occhi a mandorla, viso rotondo con un fare austero ma rassicurante. Sostiene che la grotta di Sipadan sia un cimitero delle tartarughe di mare. Ci sono dunque tutti i presupposti per alimentare un mistero. Facciamo un breve briefing durante il quale ci spiega che respireremo nitrox da una bombola fissata sul fianco, che lasceremo all'entrata del tunnel per poi proseguire con le bombole in spalla e che avremo a disposizione 70 atmosfere per esplorare la seconda grotta: queste condizioni sono tassative!

La mattina dopo, alle 5.30, la barca ci aspetta puntuale al molo. Partiamo. Il mare calmo ed il cielo stellato, sono promettenti presagi di una splendida giornata. Dopo circa trenta minuti, raggiungiamo il molo di Sipadan mentre il sole inizia a spuntare all'orizzonte.
Ho centinaia di immersioni sulle spalle, eppure in questo momento mi sento emozionato come uno scolaretto al suo primo giorno di scuola; l'unica differenza è che qui non vedo l'ora di tuffarmi in acqua. Arrivati sul punto d'immersione, David ci assicura con gesti esperti le bombole nitrox sul fianco, e scendiamo velocemente verso il fondo. Ecco l'ingresso! Un cartello affisso all'entrata ci avverte che in quella grotta si può morire e qualcuno l'ha già fatto! Facciamo un ultimo controllo alle luci prima di entrare. Avvolti dal buio pinneggiamo per circa 80 metri prima di raggiungere il tunnel e toglierci le bombole di riserva. Le sensazioni sono forti: penso all'emozione che provò l'equipe di Cousteau nel penetrare per la prima volta in questi anfratti andando incontro all'ignoto…



Alla fine del tunnel sbuchiamo nella seconda grotta; il soffitto è più basso rispetto a quella che ci siamo appena lasciati alle spalle. David illumina il fondo con la torcia. Eccolo! Lo scheletro del carapace di una tartaruga, giace sul fondo e, pochi centimetri più in là il teschio quasi intatto ci guarda con la bocca spalancata quasi a voler lasciare impresso per sempre il suo ultimo respiro!
- 'Quante sono le tartarughe morte lì dentro?' chiesi a David il giorno prima.
- 'Centinaia' fu la risposta.
Effettivamente la quantità di ossa più o meno ben conservate che abbiamo davanti in questo momento danno l'idea di cosa volesse dire David.
Proseguendo l'esplorazione, passiamo sotto una finissima 'cascata' di sabbia: la grotta è formata da corallo poroso, e la sabbia filtra attraverso i pori creando questo fenomeno; fa un certo effetto pensare che sopra di noi c'è la spiaggia dell'isola di Sipadan!. Giriamo a destra e percorrendo pochi metri, una stretta apertura si staglia nel mare aperto. Il blu intenso dell'acqua penetrando violentemente nell'oscurità della grotta, crea un effetto surreale. Lo scheletro di una tartaruga sotto di noi, lascia pensare che, vedendo la luce si sia illusa di essere scampata al pericolo provando ad uscire inutilmente da questa apertura.

Nel tragitto di ritorno David ci mostra un'altra stranezza: i resti delle ossa di un delfino giacciono appoggiati su un piano. Come ha fatto questo mammifero a spingersi così all'interno e perché? Il delfino potrebbe avvalorare l'ipotesi per la quale gli animali che entrano nella grotta si perdano morendo soffocati.
Ancora perplesso, raggiungo insieme agli altri l'imboccatura del tunnel. David recupera il mulinello e mi fa cenno di proseguire per primo come accordato nel briefing del giorno precedente. Seguendo la sagola percorriamo il tunnel a ritroso. Giunti all'uscita, ci sediamo su una roccia e spegniamo i fari restando nel buio totale; ma solo per poco: ad un tratto si accendono decine di minuscole luci bianche che si muovono confusamente davanti a noi; sono Light Fish, le lucciole di mare! Non ne avevo mai visti così tanti!.
Dopo 75 minuti di immersione, risaliamo in superficie. La barca ci aspetta; provo sensazioni confuse e contrastanti: mi sento euforico ma allo stesso tempo triste pensando a quell'immenso cimitero subacqueo.
Ad un tratto mi rendo conto che non ha più importanza scoprire il mistero delle tartarughe di Sipadan; preferisco pensare che anche il mare abbia il diritto ed il potere di conservare i suoi segreti. E' per questo motivo che continuerò ad esplorare i fondali ogni volta con la stessa passione del primo giorno d'immersione.

 

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