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Canada: tra fragilità e speranza PDF Stampa E-mail
Scritto da Sara Laurenti   

Gli occhi si attaccano a quel mare piatto, senza orizzonte, ma non sono sufficienti a contenere tutta quell'acqua della baia di Toudoussac, sul più grande fiordo del Canada, nella regione del Québec.




Qui il fiume incontra il mare: il San Lorenzo, un simbolo per i canadesi, si unisce all'Atlantico e produce tanto crill, cibo prediletto per le balene.
Proprio in questo luogo, i conquistatori francesi si sono scontrati con i nativi Innu-montagnais. E pensare che all'inizio, a metà del XVI secolo, c'era un buon rapporto tra questi due popoli, tra questi due mondi: pellicce in cambio di monete d'oro, l'armonia con il creato in cambio di conoscenza e di scienza.
I nostri sguardi sono sempre fissi, concentrati. Siamo pronti a catturare qualsiasi movimento: i giganti buoni del mare passano da qui per andare a riprodursi in acque calde, tropicali, fino in Messico. Ci basterebbe vederli, il kajak è troppo lento per seguirli, figuriamoci per inseguirli.
Nonostante il dolore di una vescica su entrambe le mani, che si ripropone a ogni pagaiata, la voglia di contemplarli vince. Abbasso gli occhi un attimo ed ecco che sento un forte sfiato, come se qualcuno sbuffasse impaziente: è una balena comune, lunga non meno di venti metri e ha una grande testa quadrata. Sembra che abbia aspettato proprio la mia distrazione per emergere. Ma non è così, non si è accorta di me, del mio kajak. Lei segue il suo istinto, la sua rotta, la scia di crill che le assicura l'energia per muovere diciotto tonnellate di mole. È grande quanto una casa di tre piani, eppure sembra volare: l'acqua è diventata aria. Sono io sul mio kajak a essere il mammifero goffo.

È già scomparsa e non ho avuto neppure il tempo di gustarmi la sua visione, come se sapesse che sottraendosi il desiderio aumenta. Nasce una specie di smania dell'attesa: non voglio altro che questa grande creatura riemerga, riprenda aria, si interessi a noi. Ed eccone un'altra, più avanti. Si vede appena il grande muso e poi la pinna dorsale lucida, quasi nera, che solo dopo un po' scompare. Questa volta non è sola, sa bene anche lei che in compagnia si sta meglio.
I biologi del centro marino di Mingan, un arcipelago composto da quaranta isole e isolotti, a circa 200 chilometri dalla baia di Toudoussac, ci raccontano che a causa dell'inquinamento, ma anche della caccia indiscriminata che ancora oggi paesi come la Norvegia o il Giappone permettono, questi grandi mammiferi sono in pericolo. Per creare sensibilità e far conoscere questi giganti buoni in Canada di questi centri ne stanno sorgendo molti. Una volta, invece, non ce n'era bisogno. Durante la caccia e la pesca gli Innu-montagnais ricercavano le potenti forze spirituali anche negli animali. Erano convinti che l'armonia con il creato influenzasse la vita, che il rispetto verso gli animali attenuasse l'ira delle forze soprannaturali nella loro esistenza. Tutte le comunità indiane, che oggi vivono per lo più sulla direttrice nord-est del fiume, vogliono conservare un po' di questa saggezza e si trovano a metà strada tra il desiderio di una vita moderna, comoda, stanziale e il bisogno di passato, di una vita nomade, da protagonisti, fatta di avventura nei boschi e tra i mari.

Certo, non hanno fatto tutto da soli. Nel corso del Novecento il governo canadese esercitò forti pressioni affinché anche questo popolo abbandonasse la pratica della caccia considerata alla stregua del vagabondaggio. Qualsiasi occasione oggi è perciò buona per raccontare la propria storia. Da Wendake, a quindici chilometri da Québec City, a Maliotenam, molto più a nord, vicino Sept-ils, insenatura del fiume, fino ad arrivare a Schefferville, ai confini con la regione del Labrador, ogni comunità Innu mostra le sue tradizioni.


Leggono le preghiere rivolte alle forze delle natura, conciano le pelli di alce o di caribù che servivano per vestirsi, con le ossa riproducono i monili e i dream catchers, gli 'acchiappa sogni' per allontanare gli spiriti cattivi. Gli aghi di pino sono stesi sul pavimento delle tende (tepee) per coprire e profumare l'ambiente. Oggi se ne vedono tante di tende spioventi costruite nei giardini davanti o dietro le loro case prefabbricate. Nella comunità di Ekuanitshit, vicino Mingan, un'anziana, che non parla francese, ma solo la lingua originale, prepara il cibo tipico: zuppa di carne di caribù, salmone e l'immancabile banic, pane preparato con farina, acqua e amido di mais. Lo cucina in un teepee sotto la sabbia incandescente. Come una volta la carne si affumica, nulla si spreca, tutto si ricicla.

Avendo perso il controllo del loro territorio e delle risorse, gli Innu-montagnais oggi soffrono di un forte malessere sociale che trova espressione nel consumo di alcolici e droga e in un altro tasso di suicidi. Eppure non si possono non raccontare i numerosi casi di persone affrancatesi da queste dipendenze e i progetti di guarigione comunitaria. Le balene come i nativi sono in pericolo, sono fragili ma resistono. Un grande santo diceva: «Alla vostra anima non manchi mai l'ancora della speranza in mezzo ai flutti».

 

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