Gli occhi si attaccano a quel mare piatto, senza orizzonte,
ma non sono sufficienti a contenere tutta quell'acqua della baia di
Toudoussac, sul più grande fiordo del Canada, nella regione del Québec.
Qui il fiume incontra il mare: il San Lorenzo, un simbolo per i canadesi,
si unisce all'Atlantico e produce tanto crill, cibo prediletto per le balene.
Proprio in questo luogo, i conquistatori francesi si sono scontrati con i nativi
Innu-montagnais. E pensare che all'inizio, a metà del XVI secolo, c'era un buon
rapporto tra questi due popoli, tra questi due mondi: pellicce in cambio di
monete d'oro, l'armonia con il creato in cambio di conoscenza e di scienza.
I nostri sguardi sono sempre fissi, concentrati. Siamo pronti a catturare
qualsiasi movimento: i giganti buoni del mare passano da qui per andare a
riprodursi in acque calde, tropicali, fino in Messico. Ci basterebbe vederli, il
kajak è troppo lento per seguirli, figuriamoci per inseguirli.
Nonostante il dolore di una vescica su entrambe le mani, che si ripropone a ogni
pagaiata, la voglia di contemplarli vince. Abbasso gli occhi un attimo ed ecco
che sento un forte sfiato, come se qualcuno sbuffasse impaziente: è una balena
comune, lunga non meno di venti metri e ha una grande testa quadrata. Sembra che
abbia aspettato proprio la mia distrazione per emergere. Ma non è così, non si è
accorta di me, del mio kajak. Lei segue il suo istinto, la sua rotta, la scia di
crill che le assicura l'energia per muovere diciotto tonnellate di mole. È
grande quanto una casa di tre piani, eppure sembra volare: l'acqua è diventata
aria. Sono io sul mio kajak a essere il mammifero goffo.
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È già scomparsa e non ho avuto neppure il tempo di gustarmi
la sua visione, come se sapesse che sottraendosi il desiderio aumenta. Nasce una
specie di smania dell'attesa: non voglio altro che questa grande creatura
riemerga, riprenda aria, si interessi a noi. Ed eccone un'altra, più avanti. Si
vede appena il grande muso e poi la pinna dorsale lucida, quasi nera, che solo
dopo un po' scompare. Questa volta non è sola, sa bene anche lei che in
compagnia si sta meglio.
I biologi del centro marino di Mingan, un arcipelago composto da quaranta isole
e isolotti, a circa 200 chilometri dalla baia di Toudoussac, ci raccontano che a
causa dell'inquinamento, ma anche della caccia indiscriminata che ancora oggi
paesi come la Norvegia o il Giappone permettono, questi grandi mammiferi sono in
pericolo. Per creare sensibilità e far conoscere questi giganti buoni in Canada
di questi centri ne stanno sorgendo molti. Una volta, invece, non ce n'era
bisogno. Durante la caccia e la pesca gli Innu-montagnais ricercavano le potenti
forze spirituali anche negli animali. Erano convinti che l'armonia con il creato
influenzasse la vita, che il rispetto verso gli animali attenuasse l'ira delle
forze soprannaturali nella loro esistenza. Tutte le comunità indiane, che oggi
vivono per lo più sulla direttrice nord-est del fiume, vogliono conservare un
po' di questa saggezza e si trovano a metà strada tra il desiderio di una vita
moderna, comoda, stanziale e il bisogno di passato, di una vita nomade, da
protagonisti, fatta di avventura nei boschi e tra i mari.
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Certo, non hanno fatto tutto da soli. Nel corso del Novecento
il governo canadese esercitò forti pressioni affinché anche questo popolo
abbandonasse la pratica della caccia considerata alla stregua del vagabondaggio.
Qualsiasi occasione oggi è perciò buona per raccontare la propria storia. Da
Wendake, a quindici chilometri da Québec City, a Maliotenam, molto più a nord,
vicino Sept-ils, insenatura del fiume, fino ad arrivare a Schefferville, ai
confini con la regione del Labrador, ogni comunità Innu mostra le sue
tradizioni.
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Leggono le preghiere rivolte alle forze delle natura, conciano le pelli di alce
o di caribù che servivano per vestirsi, con le ossa riproducono i monili e i
dream catchers, gli 'acchiappa sogni' per allontanare gli spiriti cattivi. Gli
aghi di pino sono stesi sul pavimento delle tende (tepee) per coprire e
profumare l'ambiente. Oggi se ne vedono tante di tende spioventi costruite nei
giardini davanti o dietro le loro case prefabbricate. Nella comunità di
Ekuanitshit, vicino Mingan, un'anziana, che non parla francese, ma solo la
lingua originale, prepara il cibo tipico: zuppa di carne di caribù, salmone e
l'immancabile banic, pane preparato con farina, acqua e amido di mais. Lo cucina
in un teepee sotto la sabbia incandescente. Come una volta la carne si affumica,
nulla si spreca, tutto si ricicla.
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Avendo perso il controllo del loro territorio e delle
risorse, gli Innu-montagnais oggi soffrono di un forte malessere sociale che
trova espressione nel consumo di alcolici e droga e in un altro tasso di
suicidi. Eppure non si possono non raccontare i numerosi casi di persone
affrancatesi da queste dipendenze e i progetti di guarigione comunitaria. Le
balene come i nativi sono in pericolo, sono fragili ma resistono. Un grande
santo diceva: «Alla vostra anima non manchi mai l'ancora della speranza in mezzo
ai flutti».
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